Sorvegliato speciale - è uno dei vulcani più monitorati al mondo - l'Etna ammalia con la sua forza prorompente, reale ed evocativa. Un paesaggio dinamico, in continua evoluzione: non si riesce a definire la quota massima della montagna che già i crateri sommitali si sono innalzati. Un luogo impressionante, un magnete per studiosi e viaggiatori. Dove, in compagnia di boati, fumi ed eruzioni, vivono migliaia di persone.
A
ffacciarsi sull'inferno è facile. Basta arrivare in Sicilia, salire verso i paesi dell'Etna, proseguire in auto e poi a piedi verso le alte quote del vulcano. Infine sporgersi dall'orlo della Bocca Nuova, uno dei quattro crateri principali, verso la voragine da cui salgono nuvole di acre fumo giallastro. Dal basso arrivano tonfi, vibrazioni, boati. L'emozione, ogni volta, è fortissima. Quando si sale nel periodo estivo, capita di dover indossare delle mascherine per proteggere il naso e la bocca dal fumo. In inverno invece il vento gelido e teso al che soffia da ovest allontana il fumo dai crateri e lo spinge verso la costa di Acireale e Taormina.Dalla ribollente Bocca Nuova, dal placido Cratere Centrale, dal piccolo e ripido Cratere di Nordest lo sguardo spazia a nord verso le Eolie, a sud in direzione di Siracusa e di Enna, a oriente verso I'Aspromonte e il Mar Ionio. Sono di nuovo quassù qualche eruzione, ma oggi tutto sembra tranquillo, ma del Mongibello è sempre bene non fidarsi, L'Etna è uno dei vulcani meglio monitorati al mondo. Gli strumenti di monitoraggio offrono il massimo della tecnologia e della
multidisciplinarietà. Sul vulcano, fino a 2800 metri, sono installati sensori sismici, telecamere visibili e all'infrarosso, radar terrestri, sensori infrasonici che captano le esplosioni sotterranee. Inclinometri e dilatometri collegati a Gps consentono di controllare i rigonfiamenti e gli sgonfiamenti del suolo che si accompagnano all'attività del vulcano. Tutti gli strumenti sono collegati in tempo reale con la sede sezione di Catania dell'INGV (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia). L'osservazione diretta, da terra o dall'elicottero, serve a capire la struttura delle bocche e l'andamento delle colate di lava.
L'Etna è un vulcano "lento, che dà di solito un po' di preavviso. Si è in grado di prevedere le eruzioni con un anticipo compreso tra 12 ore e una settimana. Per le eruzioni esplosive e le nubi di cenere che possono creare problemi agli aerei il preavviso va da mezz'ora a due ore, ma è sufficiente per intervenire.
Salendo alla Bocca Nuova, intorno ai tremila
metri, abbiamo dovuto attraversare una colata di lava scesa una decina di giorni prima. Fumarole, lava solida ma tagliente e fragile, spaccature da saltare come i crepacci di un ghiacciaio, caldo sotto agli scarponi. Sopra di noi, sul fianco del Cratere di Sudest, che da 15 anni è il cuore dell'attività dell'Etna, una spaccatura sembrava pronta a far sgorgare un altro fiume incandescente di lava. Mentre scendiamo dalla Bocca Nuova, su un pendio di neve indurita dal sole e dal gelo, la guida Franco Emmi mi suggerisce di tenere d'occhio la forma delle nuvole di fumo sopra di noi. «Oggi si lasciano portare dal vento, significa che tutto è tranquillo. Se il fumo sale in verticale, se si intreccia, vuol dire che la pressione è molto forte, che è possibile un'eruzione esplosiva, e che è bene stare lontani dai crateri». Poi mi indica dei blocchi di lava sul pendio, «Sono delle bombe vulcaniche, sonostate sparate fin qui dal cratere», Quando? «Due giorni fa, al massimo tre». Sono sul Mongibello dei siciliani, un nome che ricorda (jebel in arabo significa "montagna") la lunga presenza islamica nell'isola. Empedocle, filosofo dell'antica Agrigento, osservò da lontano la tremenda eruzione del 475 avanti Cristo che
ispirò il Prometeo incatenato di Eschilo, poi sali per vedere da vicino i crateri. Una leggenda ripresa da Marguerite Yourcenar, che nelle sue Memorie di Adriano ha scritto che anche Timperatore romano sali a osservare i crateri. Nel 1787, Johann Wolfgang von Goethe si fermò ai Monti Rossi. Qualche mese più tardi Déodat de Dolomieu, geologo e tra i primi studiosi delle Dolomiti, si affacciò «sul cratere illuminato da una strana luce bianca che proveniva dall'interno». A Nicolosi, nella sede del Parco dell'Etna, il vulcanologo Salvo Caffo mi racconta la storia della montagna, e illustra la rete di sensori (170 in tutto) che tiene d'occhio i crateri e le lave e fornisce informazioni in tempo reale all'Ingv e alla Protezione civile. Caffo mi spiega che le prime eruzioni sono avvenute nel Mar
Ionio intorno a 570mila anni fa, poi l'attività si è spostata a nord e più tardi l'epicentro si è spostato verso ovest. Fasi di attività parossistica si sono alternate con altre più tranquille. Nei millenni è nato un grande edificio vulcanico a pianta ellittica, distrutto 15mila anni fa da una serie di terrificanti esplosioni. L'Etna di oggi ha iniziato a nascere allora, e continua a cambiare ogni anno. Un quarto di secolo fa, quando sono salito per la prima volta sull'Etna, il Cratere di Sudest non esisteva. Oggi questo cratere s'impone allo sguardo di chi osserva il vulcano da Nicolosi, da Zafferana, da Linguaglossa, e continua a salire di quota, potrebbe superare per altezza i suoi vicini.
Ai suoi piedi, gli skilift e le seggiovie di Piano Provenzana e del rifugio Sapienza sono stati distrutti più volte dalle lave. Lo stesso è avvenuto all'osservatorio vulcanologico costruito all'inizio del Novecento a quota 2940, e alla Torre del Filosofo e agli altri rifugi via via edificati dal Cai di Catania e da privati.
A partire dal 2001, sul versante sudorientale della montagna, si sono formati nuovi crateri secondari. Uno è stato dedicato a Haroun Tazieff, tra i padri della vulcanologia moderna, un altro a Josemaria Escrivá de Balaguer, il religioso spagnolo fondatore dell'Opus Dei, che Papa Giovanni Paolo II ha canonizzato nel 2002.
Altri ancora non hanno nome.
Francesco Pennisi, il funzionario del parco che si occupa di escursionismo e turismo, mi racconta dei sentieri-natura dell'area protetta, delle regole per salire ai crateri, del difficile lavoro delle guide vulcanologiche e alpine. Tra i sentieri - natura, che si svolgono a quote medio-basse, spiccano quello del Monte Nero degli Zappini (due ore e mezza), quello dei Monti Sartorius (due ore) che inizia dallo storico rifugio Citelli, il tracciato che sale dalle Case Pirao al Monte
Spagnolo (cinque ore) e quello che sale dal rifugio Citelli al Serracozzo (due ore).
Richiede un impegno diverso la pista forestale lunga 42 chilometri che compie metà del periplo del vulcano tra i 1400 e i 2000 metri di quota. La pista può essere raggiunta o lasciata in più punti, e lungo la quale sorgono nove rifugi incustoditi. Un percorso da fare a piedi, a cavallo o in mountain bike. O sugli sci da fondo, se c'è neve. Per salire ai crateri, in ogni momento dell'anno, occorre essere accompagnati da una guida alpina siciliana o arivata dal nord, o da una delle guide vulcanologiche dell'Etna, che sono autorizzate a operare solo quando il terreno è sgombro dalla neve. Il Club alpino italiano ha chiesto alla Protezione civile e al parco di consentire l'accesso anche ai gruppi guidati da un accompagnatore o da un istruttore del Cai, ma questa modifica non è ancora stata accettata.
Il terreno che viene trasformato continuamente dalle colate, le difficoltà di orientamento in caso di nuvole o nebbia, la possibilità di eruzioni esplosive consigliano anche agli esperti di non andare da soli. E quando l'attività del vulcano è molto intensa, la Prefettura e la Protezione civile vietano l'accesso ai crateri anche ai gruppi accompagnati dalle guide.
Invece, tra marzo e la fine dell'anno scolastico, e nuovamente in autunno, sono molte centinaia gli studenti che visitano la sede dell'are a protetta, nell'ex convento benedettino di San Nicolò la Rena a Nicolosi. Insegnanti e ragazzi percorrono il Sentiero del germoplasma, dedicato alle piante agricole e officinali della zona, accessibile anche ai portatori di handicap e dotato di pannelli esplicativi anche per non vedenti, in alfabeto Braille. Una parte dei gruppi, insieme alle guide alpine, percorre i sentieri-natura del Parco. «I ragazzi e i professori che arrivano dal resto d'Italia (nel 2014 soprattutto da Puglia, Lombardia e Toscana) passano sull'Etna una sola giornata. I siciliani vengono a trovarci più volte, e partecipano a dei programmi più completi», spiega il funzionario del
parco Pennisi.
Insieme a Pennisi e al vulcanologo Caffo rifletto sul fatto che l'Etna è una delle poche montagne al mondo, e l'unica in Italia, a non avere una quota precisa. I 3323 metri riportati sulle mappe ormai non fanno più testo. Il Cratere di Nordest è arrivato a quota 3345, poi una frana lo ha abbassato di qualche metro. Tra qualche anno il Cratere di Sudest potrebbe sorpassare gli altri. «Sull'Etna il paesaggio è dinamico, e questo lo rende unico», conclude Pennisi.
Per la gente dell'Etna, però, il "paesaggio dinamico" che affascina i vulcanologi e i forestieri significa innanzitutto danni e dolori. L'eruzione del 1280 avanti Cristo ha costretto i Sicani, i primi abitanti dell'isola, a migrare verso terre più sicure. Dopo l'eruzione del 475 avanti Cristo - quella descritta da Empedocle - il vulcano si è svegliato almeno altre 140 volte, con una media di una grande eruzione ogni venti anni.
Nel 1669 una colata di 989 milioni di metri cubi di lava sfiorò Catania e arrivò fino al mare. Ma qualche anno dopo, nel 1693, Catania fu scossa da un terremoto di origine tettonica che fece circa 16 mila morti. Il centro ricostruito della città, con la cattedrale di SantAgata e la fontana dell'Elefante (u Liotru per i catanesi) è un capolavoro del barocco. Ma la sua nascita, per i catanesi, ha segnato la fine di un periodo terribile.
In realtà non è la lava che esce dai crateri sommitali, spesso visibile da Catania e dalla costa, a minacciare la vita e le opere dell'uomo. A danneggiare paesi e strade sono le fratture che si aprono a quote più basse, da cui le colate possono raggiungere in breve le zone abitate. Le lave del 1669 che hanno lambito Catania sono sgorgate a mille metri di quota, nei pressi di Nicolosi.
Colate partite a quote poco superiori hanno raggiunto più volte Zafferana Etnea, uno dei centri
pedemontani più colpiti. Quella del 1792, secondo la tradizione, è stata bloccata da una processione, con in testa la statua della Madonna della Provvidenza, oggi ricordata da un pannello sul portale della chiesa madre. A fermare le lave del 1983 sono stati lo sbarramento in cemento e le esplosioni volute dalla Protezione civile. Racconta bene questo volto sornione e pericoloso dell'Etna la descrizione che ci ha lasciato Leonardo Sciascia. «Nel sentimento di coloro che abitano i paesi etnei il vulcano ha un che di domestico, di familiare», ha scritto l'autore de Il giorno della civetta, A ciascuno il suo e Todo modo, «caduti i miti, l'Etna sta come un immenso gatto di casa che quietamente ronfa e ogni tanto si sveglia, sbadiglia, con pigra lentezza si stiracchia e, d'una distratta zampata, copre ora una valle ora un'altra, cancellando paesi, vigne, giardini. E appunto come i gatti di Thomas Eliot ha tre nomi diversi: Etna, Mongibello, e il terzo segreto».
Nella quotidianità di chi vive ai piedi dell'Etna, il vulcano si manifesta all'improvviso con la cenere che impedisce agli aerei di volare, che trasforma le strade in piste di pattinaggio, che si deposita sui tetti rischiando di farli crollare con il suo peso. Come tutti i vulcani del mondo, però, il Mongibello è anche una sorgente di vita. Salendo in direzione dei crateri le strade zigzagano tra orti e viti, per poi proseguire tra faggi, castagni e betulle che sorprendono chi associa questi alberi dalla corteccia bianca al Grande Nord.
Intorno a SantAlfio crescono i più grandi castagni millenari d'Italia. Sul versante di Linguaglossa si distende una foresta di altissimi pini larici. Su quello di Nicolosi e Zafferana, le ginestre hanno le dimensioni di alberi, e a primavera stordiscono con il loro profumo. Lo spino santo (vedi pag. 64) è il primo a
ricolonizzare il deserto. Dove la lava è meno compatta, bastano 80 anni dall'ultima eruzione per far ricomparire gli alberi. Alle pendici del vulcano, la strada e la Ferrovia Circumetnea traversano quel «paradiso terrestre interrotto qua e là da zone dell'inferno» che emozionò lo scrittore ligure Edmondo De Amicis.
Qui chi s'interessa alla storia può visitare le chiese medievali di Randazzo, le ville e i giardini del versante di Zafferana e Nicolosi, il severo castello normanno di Adrano che ospita un ricco museo archeologico, e dalla cui terrazza si ammira un sensazionale panorama sull'Etna.
A Maniace, sul confine tra l'Etna e i Nebrodi, l'abbazia medievale di Santa Maria è stata trasformata nel palazzo che re Ferdinando IV di Borbone ha donato nel 1799 all'ammiraglio inglese Horatio Nelson, il vincitore di Trafalgar. La pietra lavica, il giardino all'inglese e il panorama sul vulcano compongono un quadro
sorprendente. E non è finita. Le basse quote dell'Etna offrono anche dei sapori speciali. Sul versante di Bronte si coltivano i migliori pistacchi d'Italia. In direzione dello Ionio prendono il loro posto la nocciola e l'ulivo. Le profumate varietà locali di mele hanno nomi bizzarri come "mela gelato"mela rotolo" e "mela Cola" che deve il nome ai suoi creatori, i monaci dell'abbazia di San Nicola a Nicolosi «Un terzo del Parco dell'Etna, quasi 20mila ettari, è coltivato», spiega Rosa Spampinato, responsabile dell'area protetta in materia di agricoltura. «Ora lavoriamo a creare un biodistretto, con produzioni biologiche certificate»
Tra le coltivazioni dell'Etna merita un discorso a parte la vite, che sul versante di Castiglione di Sicilia e Randazzo sale fino a mille metri di quota.
Le vigne sono impiantate sulle "rasole';le terrazze in pietra lavica. Per secoli l'uva è stata spremuta nei palmenti, edifici in pietra che contengono grandi presse, enormi barili e bacini in pietra per la raccolta del mosto.
Alessandro Lo Genco, agronomo della cantina Nicosia di Trecastagni, mi accompagna tra le vigne dominate dai pendii del Monte Gorna, uno dei tanti crateri avventizi dell'Etna. «Il terreno è formato al 90 % da sabbia vulcanica. La mineralità di questo suolo, attraverso il vino, arriva al naso e al palato», spiega.
Più in alto, nel regno della lava, l'Etna può essere visitato in molti modi. Gli escursionisti hanno a disposizione gli otto sentieri-natura del parco e molti altri itinerari non segnati. Sui fianchi della montagna si aprono 180 grotte laviche, in gran parte di difficoltà modesta.
Anche in questo inverno gli sciatori di Catania e dei centri vicini affollano le piste di discesa di Piano Provenzana. La più bella ricorda Mario Puchoz (il
cognome è stato storpiato in "Pouchoz"), guida di Courmayeur morta nel 1954 al K2. Un legame tra le montagne di Sicilia e quelle del Nord che
compare nei nomi di decine di bar, ristoranti alberghi e negozi ai piedi del vulcano. Tra i nomi delle associazioni sportive prevale l'orgoglio di vivere ai piedi dell'Etna.
Verso i crateri del Mongibello, ogni anno, salgono migliaia di persone. In estate si va a piedi, d'inverno e a primavera occorrono i ramponi o gli sci. Altri escursionisti, provenienti soprattutto dalla Sicilia, percorrono i sentieri-natura di bassa quota, e la lunga e suggestiva pista forestale di cui abbiamo parlato prima. D'inverno, soprattutto sul versante di Linguaglossa, si utilizzano sempre più spesso le ciaspole. Ma l'Etna, purtroppo, è anche un luogo del turismo di massa. Dalla primavera all'autunno, centinaia di migliaia di turisti impegnati in un tour della Sicilia, o che salgono per qualche ora dalle spiagge, vengono portate ai piedi dei crateri con dei bus fuoristrada. Un business milionario, dove i clienti riportano a casa solo una visione fugace della montagna. "Sull'Etna il turismo di massa c'è da decenni. I nostri sentieri-natura, i nostri a ettari, programmi di educazione ambientale, gli itinerari verso gli alberi secolari, le gite guidate che proponiamo tutto l'anno hanno lo scopo di far aumentare i visitatori più attenti", mi spiega Marisa Mazzaglia, il giovane avvocato di Nicolosi
che siede da due anni sulla difficile poltrona di presidente del parco. Per lo stesso motivo proponiamo agli appassionati di natura di non salire al vulcano solo
da Piano Provenzana o dal rifugio Sapienza, i due punti di accesso più affollati, ma di utilizzare anche gli accessi più solitari. A darci una mano, da quasi due anni, è l'inserimento dell'Etna nel Patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco»,
Dal giugno del 2013, dopo due anni di lavoro da parte di un gruppo di funzionari del parco coordinato da Agata Puglisi, la zona sommitale dell'Etna è stata insignita del prestigioso marchio attribuito dall'Unesco, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di istruzione e cultura. Fino a oggi, in tutto il mondo, i siti del Patrimonio mondiale, World Heritage in inglese, sono 1007 L'Italia ne conta 49, e di questi sette sono in Sicilia. Il vulcano di Empedocle e di Goethe,
dell'imperatore Adriano e di Sciascia merita di appartenere a questo club esclusivo.